1582, un gruppo di montanari cimbri si ribellano e fanno un’imboscata contro gli esattori delle decime. Un pezzo di storia che non si legge sui manuali.

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1582, un gruppo di montanari cimbri si ribellano e fanno un’imboscata contro gli esattori delle decime. Un pezzo di storia che non si legge sui manuali.

Le decime erano una tassa ecclesiastica che imponeva ai contadini di versare il dieci per cento dei propri raccolti e dei frutti della terra come contributo alla Chiesa. Sebbene l’imposta fosse antica e giustificata come un dovere religioso, per molti contadini rappresentava una pesante fardello, soprattutto in un contesto di crescente difficoltà economica. La ribellione del 1582 che ha coinvolto un gruppo di montanari cimbri di Spreacumprogno (Badia Calavena) si inserisce in questo scenario, in cui le decime sui terreni novali divennero uno dei principali motivi di protesta.
I terreni novali erano quelli recentemente dissodati, che venivano aperti dai contadini per rispondere alla crescente domanda di cibo. In un periodo di forte espansione demografica, la popolazione aumentava rapidamente, e il numero di bocche da sfamare cresceva di pari passo. Per far fronte a questa necessità, molti agricoltori erano costretti a mettere a cultura nuove terre, spesso boschive o incolte, per aumentare la produzione agricola. Tradizionalmente, i terreni novali erano esentati dalle decime per un certo periodo, per incentivare l’opera di dissodamento e il miglioramento agricolo. Tuttavia, nel caso del monastero di San Nazaro di Verona, la situazione era diversa. Il monastero, che possedeva ampie terre, richiedeva la riscossione della decima anche sui terreni novali, una richiesta che risultava particolarmente gravosa per i contadini. Questi ultimi, infatti, avevano appena iniziato a lavorare terreni difficili e non avevano ancora raggiunto una produzione agricola stabile.
Questa imposta, percepita come ingiusta e opprimente, alimentò il malcontento tra i contadini montanari, che già vivevano in condizioni di grande povertà e faticavano a sopravvivere. La crescente necessità di terra coltivabile, unita all’imposizione della decima su queste terre appena lavorate, divenne il catalizzatore di un conflitto aperto contro l’autorità ecclesiastica e civile.
Il 12 luglio 1582, questo conflitto esplose in un atto di violenza. Angelo Ferrari, testimone oculare dell’episodio, racconta di essere stato incaricato dal padre Dionisio, monaco cellerario dell’Abbazia di Calavena (assorbita allora da San Nazario), di accompagnare don Agostino e alcuni ufficiali per notificare ai montanari della contrada degli Armani (oggi Germani di Badia Calavena), allora in comune di Cogollo, l’ordine di riscossione delle decime sui terreni novali. La comitiva, composta dai due monaci e dall’ufficiale di riscossione, si incamminò verso il monte Sprea, un’area in cui molte terre erano state recentemente dissodate. Qui abitavano famiglie di contadini che avevano rifiutato di pagare le imposte sulle loro terre novali, considerate un carico insostenibile.
Quando giunsero vicino alla casa di Poletto, figlio di Stefano Anselmi, un gruppo di uomini armati li sorprese con un’imboscata. Poletto e gli altri montanari, infuriati, lanciarono spontoni (lance corte) e sassi contro la comitiva. La violenza esplose rapidamente: i montanari, ben nascosti tra la vegetazione, balzarono fuori e aggredirono i monaci e l’ufficiale con lance e altri strumenti da guerra. Il frate don Agostino fu colpito gravemente da quattro lance, mentre altri membri della comitiva, incluso Ferrari, furono feriti o minacciati. L’ufficiale di riscossione, preso dal panico, fuggì senza riuscire a completare il suo incarico.
Le autorità venete, che governavano Verona, risposero prontamente. Il 15 marzo 1583, i Rettori di Verona emanarono una severa sentenza contro i colpevoli, che furono accusati non solo di aver aggredito l’autorità civile, ma anche di aver oltraggiato la Chiesa, aggredendo sacerdoti che stavano adempiendo ai loro doveri. La punizione fu esemplare: i partecipanti all’imboscata furono banditi dalle terre veronesi, con l’obbligo di allontanarsi di almeno quindici miglia dalla città. Chi fosse stato trovato all’interno di questi limiti sarebbe stato imprigionato e, successivamente, mandato nelle galere della Repubblica di Venezia, dove avrebbe dovuto svolgere lavori forzati.
Nonostante le severissime punizioni, la ribellione contro le decime sui terreni novali non si fermò. L’episodio evidenziò una profonda frattura tra le popolazioni rurali e le autorità ecclesiastiche e politiche, in un momento in cui la necessità di coltivare nuove terre per sfamare una popolazione in crescita rendeva il sistema fiscale ancora più gravoso. La lotta contro le decime, e in particolare contro quelle sui terreni novali, divenne un simbolo della resistenza contadina contro il potere economico e religioso, una battaglia che continuò anche dopo le dure punizioni inflitte ai ribelli.
In questo contesto di crescita demografica e necessità agricole, la resistenza alla decima sui terreni novali non era solo una protesta contro un’imposta, ma anche una reazione contro l’ingiustizia percepita da una popolazione che lottava per garantirsi un futuro migliore e per far fronte ai crescenti bisogni alimentari di una società in espansione (info su “De Decimis Novalibus”, S. Valdegamberi, edizioni03)

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Stefano Valdegamberi

Stefano Valdegamberi, nato a Tregnago il 6 maggio 1970. Dopo il diploma di Maturità Classica, si è laureato in Economia e Commercio. È conosciuto principalmente per la sua figura di politico-amministratore in quanto già sindaco di Badia Calavena, comune ove risiede con la moglie e i tre figli e, in seguito, Assessore e Consigliere della Regione Veneto. Fin dagli anni del liceo ha sempre coltivato la passione per la storia, la linguistica e la cultura locale. Tra i suoi lavori ricordiamo “I nomi raccontano la storia” (2015), “De decimis novalibus” (2018), “Alle origini degli antichi comuni di Saline, Tavernole e Corno” (2021), “Le origini del linguaggio” (2022). È cultore della lingua cimbra, il Taucias Gareida, un tedesco medievale parlato dai suoi antenati della montagna veronese e tuttora usato da pochissimi parlanti del borgo di Giazza (Ljetzan). Il suo ultimo lavoro “Castelvero, la storia millenaria di un feudo vescovile e dei suoi abitanti”

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  1. Questo articolo rispecchia e amplifica il mio percorso per mettermi in gioco e provare a fare un'opera astratta.. molto bello,…