Fedra, Ippolito portatore di corona, di Euripide

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Fedra, Ippolito portatore di corona, di Euripide

Al Teatro Romano a Verona l’11 e 12 settembre alle 21.15

La dea dell’amore, Afrodite, apre la tragedia e la dea della caccia, Artemide, la conclude, ma al centro di FEDRA – Ippolito portatore di corona, di Euripide, non ci sono gli Dei, bensì la passione umana, assoluta, divorante di Fedra per il figliastro, Ippolito. Fedra tace il proprio amore e si consuma, rivelandolo alla fine soltanto alla nutrice, la quale parla invano a Ippolito, furioso e sprezzante. Fedra preferisce la morte violenta al disonore per l’amore incestuoso che prova nei confronti di Ippolito, lasciando però uno scritto in cui accusa il figliastro di stupro. Il marito, Teseo, provoca allora la morte di Ippolito, riabilitato in punto di morte dalla stessa Artemide. La tragedia contiene alcune riflessioni di innegabile modernità su temi quali il potere delle parole nei rapporti umani, il legame tra libertà e destino, la forza della passione amorosa, i concetti dell’onore e dell’infamia, la conoscenza del bene e del male. Un’opera centrale nella poetica di Euripide, che non smette di affascinare gli spettatori a secoli di distanza, e che trova una nuova complessità nell’allestimento firmato dal regista scozzese Paul Curran.

CHE COS’È QUELLA COSA CHE CHIAMANO AMORE

Paul Curran

Nel momento supremo della rivelazione dei suoi sentimenti per Ippolito, Fedra chiede alla nutrice: «Che cos’è quella cosa che chiamano amore?». Questa domanda, mi sembra, è anche una buona indicazione del tema dell’Ippolito portatore di corona di Euripide: il tentativo di definire che cosa sono l’amore e le sue conseguenze.

Proviamo allora a rispondere anche noi alla domanda di Fedra. Nell’Ippolito, l’amore non è tanto il sentimento radioso, nitido e limpido, volutamente depurato da ogni elemento fisico, che una civiltà sessuofoba ci ha imposto nei secoli; nella tragedia di Euripide, l’eros è desiderio carnale, ossessione, rovina. Afrodite, la dea che avvia l’azione e di cui si celebrerà il trionfo, è la forza vitale da cui tutto nasce nel mondo; non è trasgressione ma è la base stessa del cosmo e della società umana. Ed Eros è il suo agente terribile e onnipotente: «Aleggia su tutta la terra e sulle onde del mare ruggente, incanta i cuori impazziti e in volo li assale come la luce che rifulge dall’oro – i figli dei monti e dei mari, le bestie che nutre la terra e che illumina il sole splendente, e così anche gli uomini».

Fedra è scossa da una sessualità aggressiva e violenta, che devasta il suo corpo e la terrorizza; ma anche Ippolito, per me, è un personaggio sensuale. Sensuale, non sessuale: la sua astensione completa dal sesso, infatti, non comporta una scelta integralmente ascetica, di completa rinuncia alle cose del mondo. Ippolito, anzi, è pieno di passioni: figlio del re di Atene, cresciuto nel palazzo di Pitteo, è giovane, prestante e bellissimo, adora le corse dei cavalli e la caccia (due passioni molto costose), è sempre accompagnato da una folla di ragazzi suoi coetanei, la sua devozione per Artemide è gioiosa e vitale, una vera amicizia.

Ma l’Ippolito non è una semplice celebrazione vitalistica della passione d’amore. Al contrario: è un’indagine inquietante delle contraddizioni dell’eros. Nella tragedia, e soprattutto nella vicenda di Fedra, l’eros è una spaventosa forza di contraddizione: nel tentativo di Fedra di reprimerlo, o al limite di tenerlo segreto, l’eros è desiderio e al tempo stesso repressione, negazione e affermazione, libertà e costrizione. E infatti è contraddizione anche nella risposta che la nutrice dà alla domanda di Fedra: «La cosa più dolce, bambina, e la più dolorosa insieme». È un’energia devastante, come sintetizza anche il Coro: «Tremendo è il suo soffio che travolge ogni cosa».

Nella nostra messa in scena, siamo partiti proprio dall’esplorazione di queste due forze in opposizione. Nella tragedia di Euripide, questi due impulsi – la passione bruciante del desiderio, e il potere della repressione – sono incarnati da due divinità che aprono e chiudono il dramma: Afrodite, la dea dell’amore, e Artemide, la dea vergine. Queste due forze in guerra, che i Greci divinizzavano e visualizzavano come energie esterne all’individuo, sono a tutti gli effetti, per uno spettatore contemporaneo, impulsi interni alla mente di ciascuno. Per questo al centro della scena campeggia un’enorme testa di donna, su cui nel corso dello spettacolo gli spettatori vedranno proiettati i volti di Fedra e di Afrodite: il nostro Ippolito disvela, porta all’esterno, ciò che c’è di più intimo nell’animo umano. Attorno alla testa, un sistema di impalcature ci dà una sensazione ambigua: non sappiamo dire con certezza se il cuore di Fedra, e il palazzo del re, siano in costruzione o in rovina. Come la testa di Fedra, anche noi, oggi, siamo bombardati dalle continue provocazioni dell’eros, tramite messaggi più o meno subliminali: anche la testa di noi contemporanei è invasa, e talvolta devastata, da Afrodite. Il nostro spettacolo vuole parlare anche alle esperienze del nostro tempo, oltre che riflettere il contesto e la mentalità in cui questo testo è stato prodotto per la prima volta.

Ma Ippolito non è solo la tragedia di Fedra. È anche la tragedia di un padre e di un figlio, Teseo e Ippolito. Nel rapporto tra il figlio illegittimo e il padre che, ingannato, lo condanna a morte vedo una dinamica fondamentale dell’umanità, che innerva tutta l’azione tragica e le dà senso: il conflitto irresolubile, quasi edipico, fra le generazioni, che noi rappresentiamo anche nel contrasto tra il coro di anziane e il séguito giovanissimo e divertito di Ippolito, ma che soprattutto prende corpo nel dialogo terribile e scioccante fra Ippolito e Teseo, in cui il padre scaccia il figlio che ancora sull’orlo della rovina cerca in tutti i modi la sua approvazione. Mentre crolla la casa di Teseo, vediamo crollare anche la sua famiglia, e la sua identità. La responsabilità è tutta di Afrodite, e della sua forza più devastante: Eros.

IL CAST

Opera di | Euripide

Traduttore   | Nicola Crocetti

Regista | Paul Curran

Assistente alla regia | Michele Dell’Utri

Scene e costumi | Gary McCann

Assistente scenografo | Gloria Bolchini

Assistente costumista | Gabriella Ingram

Direzione del coro | Francesca Della Monica

Responsabile del coro | Elena Polic Greco

Musiche coro inziale | Matthew Barnes

Musiche spettacolo | Ernani Maletta

Disegnatore luci | Nicolas Bovey

Video Design | Leandro Summo

Drammaturgo | Francesco Morosi

Assistente drammaturgo | Aurora Trovatello

Assistente alla compagnia | Riccardo Rizzo

Direttore di scena | Dario Castro, Eleonora Sabatini

Credito fotografico | Maria Pia Ballarino

Interpreti

AFRODITE | Ilaria Genatiempo

IPPOLITO | Riccardo Livermore

UN SERVO | Sergio Mancinelli

NUTRICE| Gaia Aprea

FEDRA | Alessandra Salamida

TESEO | Alessandro Albertin

MESSAGGERO | Marcello Gravina

ARTEMIDE | Giovanna Di Rauso

CORIFEE | Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano

CORO DI DONNE DI TREZENE | Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella

Accademia d’Arte del Dramma Antico

CORO

Foto Ballarino

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Direttore Claudio Gasparini

Giornalista, iscritto all'O.d.G. Veneto dal 1988, collaboro anche con altre testate giornalistiche cartacee, on-line e radiofoniche. Coautore del libro "Eccomi... una storia d'amore con Dio" pubblicato nel 2015. Cavaliere della Repubblica e dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Socio Lions, Officer e coordinatore della rivista distrettuale.

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  1. Questo articolo rispecchia e amplifica il mio percorso per mettermi in gioco e provare a fare un'opera astratta.. molto bello,…