Sant’Andrea dal Trecento a oggi: dalla razzia del 1520 alla festa dei bogoni

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Sant’Andrea dal Trecento a oggi: dalla razzia del 1520 alla festa dei bogoni

Oltre sette secoli di storia e tradizione a Badia Calavena

Ogni anno, a fine novembre, la piccola frazione di Sant’Andrea, nel comune di Badia Calavena, in provincia di Verona, si anima per una delle fiere più caratteristiche del territorio: la Fiera dei Bogoni. Una manifestazione che oggi celebra con allegria e convivialità la tradizione gastronomica legata alla lumaca opercolata, “bogòn” in dialetto e “sneke” in cimbro, ma che affonda le sue radici in un passato ben più antico, segnato anche da eventi drammatici. La Fiera di Sant’Andrea, infatti, esisteva già nel Trecento, e forse anche prima, promossa dall’Abbazia benedettina di Calavena che ne deteneva i diritti di giurisdizione e riscossione del dazio. Da secoli rappresentava un punto di riferimento per il mondo contadino della Lessinia e delle valli vicentine e veronesi. Alla fine dell’annata agraria, i contadini si ritrovavano nel borgo per vendere i loro prodotti, pagare i canoni agricoli al monastero e fare provviste per affrontare l’inverno. La fiera si svolgeva il 30 novembre, giorno di Sant’Andrea Apostolo, e si teneva in quello che un tempo era chiamato il “colonello di Progno”, oggi Sant’Andrea. Era considerata zona franca, dove le merci godevano di protezione speciale e le autorità civili dovevano rispettare l’autonomia ecclesiastica.

Ma nel 1520, proprio nel giorno della fiera, accadde un fatto destinato a entrare nella storia locale. Quel 30 novembre, mentre la piazza era colma di venditori, mercanti e contadini, e le bancarelle offrivano panni, pellicce, mantelli, generi alimentari e animali da cortile, un manipolo armato proveniente da Verona fece irruzione nel mercato. Erano circa sessanta uomini, tra fanti e cavalieri, agli ordini di un capitano che affermava di agire in nome della Repubblica di Venezia. Armati di archibugi, balestre e spade, entrarono nella fiera con grande frastuono, al suono di trombe e tamburi, seminando il panico tra la gente. I testimoni raccontano scene di caos: chi fuggiva, chi cadeva, chi cercava di mettere in salvo le proprie merci. I soldati rovesciavano i banchi, rubavano tessuti, pellicce, persino i mantelli delle donne, che venivano spogliate in pubblico. Alcuni venditori vennero gettati giù da cavallo, altri colpiti e feriti. Il danno economico fu ingente, ma ancor più forte fu l’umiliazione subita da una comunità che da secoli viveva quella fiera come momento sacro e protetto.

I monaci dell’Abbazia, indignati, si recarono immediatamente a Verona dal podestà Leonardo Emo, portando con sé testimonianze e reclami. Emo si dichiarò estraneo all’accaduto: aveva sì ordinato ai suoi uomini di catturare alcuni banditi, ma non certo di assaltare la fiera. Anzi, riconobbe pubblicamente che la fiera di Sant’Andrea non rientrava nella giurisdizione del governo veneziano, ma apparteneva di diritto all’Abbazia di Calavena, e come tale doveva essere rispettata. Ordinò quindi che tutte le merci rubate fossero restituite ai legittimi proprietari. Poiché una parte della refurtiva era andata perduta, il podestà fece arrestare il capitano responsabile e lo obbligò a vendere un proprio cavallo: con il ricavato vennero risarciti i danni subiti dai mercanti derubati. Fu redatta anche una sentenza ufficiale, conservata nei registri del monastero, che riaffermava l’immunità della fiera e i diritti del monastero su quel territorio.

Quell’episodio, tanto grave quanto simbolico, rappresenta ancora oggi una pagina importante della storia di Badia Calavena: una comunità contadina e religiosa che, pur senza armi, riuscì a difendere la propria autonomia e il proprio spazio vitale contro l’arroganza di un potere esterno. La fiera, pur segnata da quell’evento, non si fermò mai. Continuò nei secoli, evolvendosi, adattandosi ai tempi, e conservando il suo valore di luogo di scambio, incontro e identità.

Oggi, la fiera è conosciuta come Fiera dei Bogoni. La protagonista è la lumaca opercolata, raccolta nei boschi e nei prati della zona o allevata in piccoli impianti locali, secondo metodi tradizionali. È diventata un simbolo gastronomico e culturale della vallata. Durante la fiera, le strade di Sant’Andrea si riempiono di visitatori che possono gustare piatti tipici a base di bogoni cotti in umido, conditi con aglio, prezzemolo e pomodoro, accompagnati dalla polenta, secondo le ricette tramandate di generazione in generazione. Oltre alla parte culinaria, non mancano bancarelle con prodotti agricoli, artigianato, tartufo nero della Lessinia, animali da cortile, spettacoli, mostre e attività per bambini. Persino l’orario di apertura della fiera – prima dell’alba – richiama le abitudini antiche, quando i contadini arrivavano presto per avere i posti migliori e cercare di vendere prima che calasse il freddo o arrivassero i daziatori. E all’ingresso del paese, una grande scultura in ferro battuto raffigurante una lumaca accoglie i visitatori, quasi a testimoniare l’orgoglio con cui la comunità conserva e celebra questa tradizione.

La Fiera dei Bogoni non è quindi solo un evento gastronomico: è la memoria vivente di un’antica fiera medievale, testimone di soprusi, lotte e riscatto. È la trasformazione di una pagina di storia in festa popolare, in racconto condiviso, in identità. Ogni piatto servito, ogni bancarella allestita, ogni parola pronunciata in dialetto, è un tassello che tiene viva la connessione tra presente e passato. È la prova che, anche in un mondo che cambia rapidamente, ci sono luoghi e comunità capaci di conservare ciò che davvero conta: la dignità, la memoria, e la capacità di ritrovarsi insieme, ogni anno, attorno a un gusto, una storia e un nome che non si dimenticano.

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Stefano Valdegamberi

Stefano Valdegamberi, nato a Tregnago il 6 maggio 1970. Dopo il diploma di Maturità Classica, si è laureato in Economia e Commercio. È conosciuto principalmente per la sua figura di politico-amministratore in quanto già sindaco di Badia Calavena, comune ove risiede con la moglie e i tre figli e, in seguito, Assessore e Consigliere della Regione Veneto. Fin dagli anni del liceo ha sempre coltivato la passione per la storia, la linguistica e la cultura locale. Tra i suoi lavori ricordiamo “I nomi raccontano la storia” (2015), “De decimis novalibus” (2018), “Alle origini degli antichi comuni di Saline, Tavernole e Corno” (2021), “Le origini del linguaggio” (2022). È cultore della lingua cimbra, il Taucias Gareida, un tedesco medievale parlato dai suoi antenati della montagna veronese e tuttora usato da pochissimi parlanti del borgo di Giazza (Ljetzan). Il suo ultimo lavoro “Castelvero, la storia millenaria di un feudo vescovile e dei suoi abitanti”

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Commenti

  1. A parte il fatto che l'argomento è molto interessante per me che adoro bere un bicchiere a tavola e sapere…