Buon pomeriggio Sig. Davide, giro la risposta dell'autore: Ravaro. Non so. è una foto di molti anni fa, forse tratta…
Lessinia: un tempo tutti parlavano il Tauciaz Gareida, la parlata tedesca, che oggi sta morendo per sempre.
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Lessinia: un tempo tutti parlavano il Tauciaz Gareida, la parlata tedesca, che oggi sta morendo per sempre.
L’inchiesta napoleonica del 1810 rappresenta la situazione in quegli anni.
Durante l’età napoleonica (1796–1815), l’approccio dominante alla conoscenza era illuminista e razionalista. Il governo napoleonico promosse delle ricerche linguistiche ed etnografiche nei territori conquistati per capire gli usi, i costumi e le lingue locali, allo scopo di accentrare meglio il potere. Questa ricerca riguardò anche il territorio cimbro della Lessinia. A tale scopo, nel 1810 il prefetto di Verona incaricò il parroco e il cancelliere censuario di Velo, un certo Vinco, di rispondere a un questionario in cui si chiedeva di dare “informazioni sicure” relative ai paesi dove si parlasse la lingua tedesca: quali fossero, il numero dei parlanti, la loro origine, i loro usi e costumi. Tra le richieste vi era anche quella di fornire più traduzioni in lingua cimbra della Parabola del Figliuol Prodigo (Luca, c. 15). Il cimbro era soprattutto una lingua orale, tramandata in famiglia, e non era facile trascriverla. Il parroco dichiarò di aver fatto fatica a trovare qualche vecchio testo scritto. Nei primi dell’Ottocento il cimbro stava inesorabilmente scomparendo da molti paesi della Lessinia centro-orientale. L’intera popolazione parlava un ottimo cimbro a Campofontana, “da tutti e meglio di tutti”; a Giazza “da tutti, ma corrotto e con gorga speciale”. Mentre a Selva di Progno, il cimbro era parlato “da molti e con varie corruzioni”; a Velo “dai soli vecchi settantenni e non più”; a Roverè di Velo “da pochi vecchi sessantenni”; a San Bortolo, “da pochissimi”. Altrove la lingua era già andata perduta “benché in tutta la montagna si conservino i nomi di fondi, cioè delle pezze di terra, almeno per la maggior parte con la denominazione antica, e per conseguenza cimbra”. Vinco rispose che quasi tutti i parroci interpellati avevano fatto le traduzioni, non senza fatica, della parabola del Figliuol Prodigo. Nei tempi passati – afferma Vinco – “li paroci, li capellani, li preti predicavano, facendo dottrina e confessavano tutto in cimbro, poiché l’italiano non era inteso se non da quei pochi uomini che praticavano coi paesi della pianura e con la città”. Le donne e i bambini un tempo non intendevano l’italiano. In seguito, i matrimoni misti con donne di area italiana favorirono la scomparsa del cimbro. Vi era nella parrocchia di Roverè un antico libro che conteneva la traduzione in cimbro delle Omelie per tutte le feste dell’anno, finito – come molti altri preziosi libri – nella libreria di Mons. Morosini ed oggi scomparso. Ci fu anche un vocabolario redatto dal prete Gian Maria Ferro, prestato al prefetto del seminario e mai più restituito. Comunque, una traduzione in cimbro della parabola è giunta fino a noi. Vi riporto un paio di passaggi a tutti noti, con la traduzione letterale:
“Beiz’ won auander, bo hat wondart sciaff, on az habet fliort oana Won der, latzas nict parbai de nauntachc balt, on gheat noune in an dau bo ist hin’ bai iz se winghet?” Chi di voi, che ha cento pecore e se ha perduta una di quelle, non lascia forse le novantanove nel bosco, e va da quella che è via finché la ritrovi?
“Warume disan main sun ist ghebest toat, on ist kehren bider sentec; ist ghebest fgliort on ist bider wontata” Perché questo mio figlio è stato morto, ed è tornato di nuovo sano; è stato perduto ed è di nuovo trovato.

Se facciamo un salto indietro di qualche secolo scopriamo che il cimbro era di uso comune in tutta la Lessinia da Ceredo ed Erbezzo fino ai confini con il vicentino. Don Cristiano del Carpene (nativo della contrada Carpene di Badia Calavena) fu Rettore ecclesiastico (parroco) della Chiesa Nuova, l’attuale Bosco Chiesanuova, dal 1577 al 1631. Egli faceva le traduzioni in lingua cimbra dell’omelia del vescovo nelle visite pastorali. Nel 1530 nella parte alta del comune di Tregnago, poi passata sotto la giurisdizione di Badia Calavena, vi erano parecchie famiglie che parlavano tedesco, “loquuntur teutonico sermone” e ignoravano, specialmente le donne, la lingua italiana, “ignorantes presertim muliere italicum sermonem”. Questo è confermato in una nota della visita pastorale a Badia Calavena del Vescovo di Verona del 2 settembre 1525: la popolazione si lamentò per la presenza di un curato di nome Italo, il quale conosceva solo la lingua italiana, “solo habet linguam italicam”, mentre nella parrocchia c’erano molti uomini, donne e giovani che non sapevano e non parlavano la lingua italiana ma soltanto quella tedesca, “qui nesciunt et non habent linguam italicam sed solum teutonicam”.
Purtroppo questo grande patrimonio culturale sta scomparendo per sempre: oggi rimangono pochissimi parlanti madrelingua, nati a Giazza, Ljetzan, quel borgo nell’Alta Val d’Illasi (Ales Tal) rimasto più isolato degli altri per secoli e circondato da paesi ove si parlava lo stesso idioma germanico di origine medievale, proveniente dalle aree tra il Tirolo e la Baviera occidentale.
Per sentire gli ultimi parlanti cimbri, https://www.youtube.com/watch?v=bDdogGD9XZo
Foto in alto: membro di Giazza in una foto del 1941
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Stefano Valdegamberi
Stefano Valdegamberi, nato a Tregnago il 6 maggio 1970. Dopo il diploma di Maturità Classica, si è laureato in Economia e Commercio. È conosciuto principalmente per la sua figura di politico-amministratore in quanto già sindaco di Badia Calavena, comune ove risiede con la moglie e i tre figli e, in seguito, Assessore e Consigliere della Regione Veneto. Fin dagli anni del liceo ha sempre coltivato la passione per la storia, la linguistica e la cultura locale. Tra i suoi lavori ricordiamo “I nomi raccontano la storia” (2015), “De decimis novalibus” (2018), “Alle origini degli antichi comuni di Saline, Tavernole e Corno” (2021), “Le origini del linguaggio” (2022). È cultore della lingua cimbra, il Taucias Gareida, un tedesco medievale parlato dai suoi antenati della montagna veronese e tuttora usato da pochissimi parlanti del borgo di Giazza (Ljetzan). Il suo ultimo lavoro “Castelvero, la storia millenaria di un feudo vescovile e dei suoi abitanti”
Chi è il ragazzo della foto ritratto nella prima figura con contrada Bosco di Giazza alla spalle?
Mi sembra di conoscerlo (Franco Ravaro?)…
Grazie e saluti.
Davide Dal Bosco
Buon pomeriggio Sig. Davide,
giro la risposta dell’autore: Ravaro. Non so. è una foto di molti anni fa, forse tratta da un docufilm di Bruno Schweizer degli anni Quaranta.
A sua disposizione per eventuali ulteriori informazioni.
Un cordiale saluto, Claudio Gasparini – Direttore
C’è un errore nel titolo.
Si scrive: TAUCIAS GAREIDA.
Un cimbro di oggi
Buon pomeriggio Sig. Amato, le giro la risposta dell’autore: La pronuncia è a metà tra la -s e la -z. Può essere trascritto in entrambi i modi. Ho scritto Tauciaz e non Taucias perché l’aggettivo di Tauc, tedesco, è neutro: Iz tauciaz gareida, la parlata tedesca. Non sono l’unico ad averlo trascritto in questo modo. La parlata poi locale cambia: chi lo assimila di più al suono della -s che a quello della -z. Credo che all’origine fosse declinato come l’articolo neutro Iz e non Is. Per questo ho deciso di preferire questa forma.
Stefano Valdegamberi
Se le facesse piacere parlare direttamente con Valdegamberi mi lasci un suo riferimento che provvederò a comunicare all’autore.
Voglia gradire un cordiale saluto, Claudio Gasparini – Direttore